Skip to content Skip to footer

Azionario sopravvalutato: che fare? Parte 3

Azionario-sopravvalutato-che-fare-Parte-3
Tempo di lettura: 6 minuti

Con questo terzo, ed ultimo, articolo della serie scendiamo più negli aspetti pratici. Se non hai letto i primi due articoli, ti consiglio caldamente di farlo prima di proseguire, poiché altrimenti potresti facilmente fraintendere i contenuti. Nel primo articolo abbiamo chiarito perché è così difficile, e allo stesso tempo fondamentale, affrontare le fasi di sopravvalutazione dei mercati azionari.

Nel  secondo articolo, invece, abbiamo visto come identificare le fasi di sopravvalutazione dei mercati e abbiamo osservato che, almeno in riferimento al mercato azionario più rilevante del mondo — ovvero le azioni a grande capitalizzazione quotate negli USA — siamo passati da una fase di sopravvalutazione “normale” a una fase di forte sopravvalutazione.

Il concetto chiave che abbiamo ripetuto più volte è che il fatto che le azioni siano sopravvalutate non implica necessariamente una discesa imminente dei prezzi. La normalizzazione di questa oggettiva sopravvalutazione può avvenire in modi molto diversi. Ci sono almeno tre scenari ipotizzabili, ciascuno con implicazioni molto diverse.

Scenario ideale. Si alternano correzioni dei prezzi significative, ma non drammatiche (ovvero nell’ordine del 10-15% dai massimi), a fasi di recupero moderato, in un contesto di buona crescita economica e degli utili. In questo scenario, nell’arco di un paio d’anni, le valutazioni potrebbero tornare da fortemente sopravvalutate a appena sopravvalutate o addirittura normali.

Scenario pessimistico. Nel giro di due o tre mesi, i mercati iniziano una fase di discesa severa, magari innescata da qualche evento esterno ai mercati che modifica il clima attuale da “risk on” a “risk off”. L’economia inizia a dare segni di debolezza e gli utili non crescono più ai ritmi precedenti. Questo porta a una correzione del 30% circa, riportando le azioni a una valutazione normale o di leggera sottovalutazione.

Scenario catastrofico. I prezzi non subiscono correzioni significative nei prossimi due o tre trimestri e continuano a segnare nuovi massimi, entrando in un territorio di “euforia irrazionale”. A un certo punto, tutti quelli che vogliono e possono comprare lo fanno, esaurendo così il propellente per il rialzo parabolico. A quel punto si innesca una discesa che provoca una dissonanza cognitiva rispetto alla narrativa precedente, spingendo alla creazione di una nuova narrativa che alimenta ulteriormente la discesa. La forte caduta delle azioni è uno degli elementi che contribuisce al rallentamento dell’economia (l’altro è la necessità di smaltire gli eccessi negli investimenti in intelligenza artificiale, dettati dalla precedente fase di euforia). Il rallentamento economico spinge ulteriormente al ribasso i prezzi delle azioni, fino a livelli di forte sottovalutazione. In questo scenario, dai massimi euforici, gli indici mondiali potrebbero subire cali dell’ordine del 50%, mentre alcuni indici più specifici potrebbero registrare ribassi anche del 70%.

Naturalmente, oltre a questi scenari, ci sono numerose gradazioni e combinazioni ipotizzabili, ma se riusciamo a progettare modalità d’investimento che rendano accettabili le conseguenze in ciascuno di questi tre scenari, avremo certamente risultati accettabili anche in tutti gli scenari intermedi.

Le variabili da considerare

Poiché questo articolo sarà molto pratico, è fondamentale distinguere alcune circostanze che suggeriscono comportamenti diversi. Considero scontato che l’investitore abbia un fondo di emergenza che gli garantisca la possibilità di far fronte a spese impreviste e improrogabili. Al tempo stesso, considero scontato che tutte le spese programmate almeno nei prossimi cinque anni siano già coperte con una componente obbligazionaria inserita in un portafoglio d’investimento separato.

Detto questo, le principali variabili da considerare per valutare cosa fare, considerando che i mercati sono in una fase di forte sopravvalutazione, sono:

Liquidità. L’investitore ha una somma importante di nuova liquidità da investire? Ha un tasso di risparmio elevato che gli permette di continuare a investire per molti anni?

Obiettivi d’investimento. Si prevede che il denaro investito sarà ragionevolmente speso, in parte maggioritaria, nei prossimi 10-15 anni, oppure è denaro destinato a un orizzonte temporale superiore ai 20-30 anni?

Componente azionaria. La quota attuale di azioni in portafoglio è più orientata verso il 30% (o inferiore) oppure verso il 60% (o superiore)?

Cosa fare con la nuova liquidità?

Analizziamo adesso cosa fare nel caso in cui un investitore si trovi con una somma importante di nuova liquidità da investire. Se questa somma è più grande del suo attuale portafoglio d’investimento, è bene che l’investitore adotti un atteggiamento prudente. È probabile che non abbia esperienza di forti oscillazioni dei mercati finanziari (non con cifre di tale entità in gioco). Se si verificasse lo scenario pessimistico (o, ancora peggio, quello catastrofico), potrebbe non reggere psicologicamente e decidere di vendere nei momenti peggiori.

Molto dipende dagli obiettivi d’investimento e dalla capacità di risparmio. Se, oltre alla nuova liquidità, ha anche una buona capacità di risparmio su cui fare affidamento e obiettivi di lungo termine (oltre i 20 anni), potrebbe destinare fin da subito all’azionario una quota significativa della nuova liquidità, da incrementare poi con acquisti periodici.

In questi casi, c’è una “regola” fondamentale da fissare e possibilmente da scrivere da qualche parte per rafforzare la  convinzione nell’applicarla. La regola è la seguente: qualunque sia la quota di azionario che si desidera investire subito, bisogna destinare una quota identica a un obbligazionario governativo a medio-breve termine, pronto per essere investito in caso di crollo del mercato. Questa quota di obbligazionario è aggiuntiva rispetto a quella che avremmo normalmente; serve specificamente in questa fase di mercato azionario fortemente sopravvalutato. Almeno un terzo di quella quota verrà investito quando il mercato sarà sceso del 25% dai massimi, un altro terzo se scenderà del 40% e l’ultima parte nel caso in cui il mercato scenda di oltre il 50%.

Se i nostri obiettivi d’investimento sono inferiori ai 10 anni, sarà importante essere particolarmente prudenti. In questo caso, un investimento dilazionato nell’azionario attraverso un piano di accumulo potrebbe essere una soluzione ideale, soprattutto per gestire meglio gli aspetti psicologici. Un piano di accumulo dinamico potrebbe risultare particolarmente formativo per un investitore con poca esperienza delle oscillazioni di mercato.

Si è scritto e detto molto sul fatto che, statisticamente, gli investimenti in un’unica soluzione (PIC) tendono a generare rendimenti medi più elevati rispetto agli investimenti dilazionati nel tempo (PAC). Il famoso (e simpaticissimo) YouTuber Paolo Coletti, insieme a molti altri, ha “dimostrato” che, analizzando le serie storiche, è indubbio che un PIC sia mediamente più vantaggioso rispetto al PAC. Non ci sarebbe nemmeno bisogno di fare i calcoli: basta osservare il grafico crescente dell’S&P500 degli ultimi anni per capire quanto sia ovvio che investire più soldi prima, in media, debba aver reso di più.

Il punto è che questo uso della statistica è profondamente sbagliato. Le ipotesi sono solo due: o si ritiene che sia impossibile osservare ex-ante se i mercati sono sopravvalutati, oppure, se si ritiene che le considerazioni scritte nel precedente articolo abbiano valore, non ha alcun senso statistico fare la media degli anni in cui i mercati erano fortemente sottovalutati con quelli in cui erano fortemente sopravvalutati.

In sintesi, se si ha una quantità molto importante di liquidità da investire e si hanno obiettivi d’investimento inferiori a 10-15 anni, in questo contesto di azioni fortemente sopravvalutate, è di gran lunga preferibile investire attraverso un piano di accumulo di capitale, preferibilmente dinamico.

Cosa fare con la componente azionaria attuale?

La maggior parte degli investitori non dovrà affrontare il problema di dover investire una grande quantità di nuova liquidità. Piuttosto, si chiederà cosa fare con la componente azionaria attuale. Pensare di vendere con l’idea di ricomprare durante un ribasso, come abbiamo scritto nel primo articolo, è un errore. È ovvio che potrebbe capitare uno scenario in cui questa scelta si rivela vantaggiosa, ma non possiamo saperlo in anticipo. Mediamente, vendere e ricomprare comporterà costi aggiuntivi, soprattutto per la tassazione, e rischiamo di rientrare a prezzi più alti o con un capitale ridotto.

Per capire cosa fare, dobbiamo distinguere tra i casi in cui abbiamo una forte componente azionaria (superiore al 60%) e quelli in cui la componente azionaria è modesta. Se abbiamo una modesta componente azionaria, non dobbiamo temere le forti discese. Semplicemente non dobbiamo fare nulla. Quando ci sarà una discesa significativa, avremo abbastanza componente obbligazionaria per acquistare sui forti ribassi.

Se la componente azionaria è rilevante, allora dobbiamo scendere più nel dettaglio e analizzare i nostri obiettivi d’investimento e la nostra capacità di risparmio. Se abbiamo una forte capacità di risparmio e obiettivi di lungo termine, possiamo considerare di dirottare il risparmio verso un ETF obbligazionario, che useremo come fondo per acquistare azioni durante le forti discese, mantenendo invariata la componente azionaria attuale. Se non abbiamo una forte capacità di risparmio, ma abbiamo obiettivi di lungo termine, possiamo accettare le oscillazioni, almeno fino a quando le valutazioni non passeranno da fortemente sopravvalutate a euforicamente irrazionali.

Se abbiamo obiettivi d’investimento inferiori ai 10-15 anni, una scarsa capacità di risparmio e una componente azionaria molto elevata, è ragionevole pensare di ridurre gradualmente la componente azionaria man mano che il mercato segna nuovi massimi, per portarsi a una componente più compatibile con i propri obiettivi d’investimento. In questo caso, non si tratta di prevedere un crollo imminente, ma semplicemente di correggere una situazione di squilibrio. Di seguito uno schema riassuntivo delle indicazioni date.

Azionario sopravvalutato: che fare? Parte 3

Approccio adattivo

Queste indicazioni valgono in un contesto di mercati azionari che si possono definire fortemente sopravvalutati. Se i mercati tornassero a essere normalmente sopravvalutati, magari a causa di una correzione del 10-15%, o, viceversa, se si spingessero verso una condizione di euforia irrazionale, potrebbe essere utile adattare nuovamente queste scelte al nuovo scenario. Nel caso in cui le azioni USA arrivassero a valutazioni irrazionali, sicuramente torneremo a pubblicare articoli informando i nostri lettori.

Speriamo di aver dato, con questa serie di articoli, delle indicazioni sufficientemente chiare ai lettori, in modo che possano adattarle alla loro specifica condizione. Il messaggio più importante che vorrei che i lettori acquisissero da questa serie di articoli è che i mercati sono sempre incerti, ma l’incertezza si può affrontare e utilizzare a nostro vantaggio se l’investitore è in grado di costruire una narrativa coerente sui mercati e su cosa cerca dai mercati (obiettivi d’investimento). Sulla base di questa narrativa, l’investitore deve adattare il proprio portafoglio in modo che qualunque scenario ragionevolmente ipotizzabile per il futuro possa essere affrontato senza subire danni irreparabili e possibilmente ottenendo risultati mediamente soddisfacenti.

Questa è la grande differenza tra un classico approccio di asset allocation tradizionale e la costruzione di un progetto d’investimento.

Go to Top
Iscriviti alla newsletter di tekta scf

Ricevi i nostri
"Avvisi ai Naviganti"

Iscriviti alla newsletter di tekta scf

Ricevi i nostri
"Avvisi ai Naviganti"

Assistente virtuale