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Come si costruisce un “buon” portafoglio finanziario?

Tempo di lettura: 5 minuti

In quindici anni che faccio la professione di consulente finanziario indipendente mi è capitato spesso che un investitore privato mi presentasse una lista di titoli e mi chiedesse semplicemente: “vanno bene?” senza aggiungere niente sugli obiettivi di questo portafoglio né su quale strategia è alla base delle scelte fatte e sopratutto della gestione di questi titoli.
E’ come se si chiedesse ad una nutrizionista o ad un cuoco se un determinato menù “va bene” senza specificare per quali persone, circostanze, obiettivi.
E’ come se si chiedesse ad un medico se un elenco di farmaci “va bene” senza specificare per quali disturbi, con quale posologia, ecc.
E’ ovvio che la domanda è priva si senso, ma ciò che è interessante – e speriamo utile per i lettori – è riflettere sul perché la maggioranza degli investitori trova normale chiedere ad un esperto se la propria lista di titoli “va bene”, senza indicare né a quale scopo né con quale strategia intende gestire il portafoglio in futuro.

La maggioranza degli investitori non esperti è affetta purtroppo da alcune convinzioni errate molto radicate, così radicate che non c’è neppure bisogno di esplicitarle. Sono convinzioni sottintese.
La prima falsa convinzione sottintesa si può tradurre nella seguente frase. “Lo scopo di un investimento finanziario è per tutti uguale: guadagnare”. Ciò che va bene per te, va bene anche per me dal momento che entrambi, da un investimento finanziario, vogliamo la stessa cosa: guadagnare.
La seconda falsa convinzione sottintesa riguarda la capacità dei presunti esperti di sapere quali titoli faranno guadagnare in futuro. Purtroppo nella maggioranza delle persone c’è ancora la convinzione che l’esperto di finanza abbia le “dritte giuste” per scegliere i titoli “buoni”.
Sulla base di queste false convinzioni sottintese diventa logica la domanda: “questo elenco di titoli va bene?”. Domanda che si potrebbe tradurre con: “questi titoli mi faranno guadagnare il giusto senza correre rischi?”
Il problema è che a questa domanda nessuna persona onesta potrà mai rispondere perché non c’è nessuna persona onesta che possa sapere con ragionevole certezza se un titolo in futuro si apprezzerà o meno.
Il lavoro del professionista che costruisce portafogli finanziari non è – come crede la maggioranza delle persone – quello di identificare i “titoli buoni” (che non esistono, ex-ante) ma di stabilire una serie di regole di acquisto e vendita dei titoli in grado di gestire l’incertezza.
Il primo punto di partenza per costruire un “buon” portafoglio finanziario (qualunque cosa questo significhi per lo specifico investitore) è accettare che dobbiamo convivere con l’incertezza e quindi imparare a gestirla.
Detto questo, cerchiamo di vedere, in pratica, quali sono i passi necessari per costruire un buon portafoglio finanziario alla portata di investitori non esperti.

Come si costruisce un portafoglio finanziario?
Il primo passo pratico per costruire un portafoglio finanziario è quello di escludere tutti quegli strumenti/prodotti inefficienti. Con questo intendiamo tutti gli strumenti che hanno costi che si possono eliminare. Polizze unit e index linked, gestioni patrimoniali ed in genere tutti i prodotti che si possono sottoscrivere solo presso determinati intermediari sono da eliminare. Una regola semplice è quella di utilizzare esclusivamente strumenti che sono quotati nei mercati regolamentati.
Sicuramente possono esistere eccezioni a questa regola, in teoria, ma il costo informativo per andare a cercare l’eccezione, in genere, non ripaga.

Il secondo aspetto è quello di chiarirsi le idee su quali sono i propri obiettivi finanziari. Qui il discorso si fa complesso perché in questa fase è necessario abbandonare – come abbiamo accennato nell’introduzione – delle false credenze. L’obiettivo non può semplicemente essere quello di “guadagnare” perché, come abbiamo detto, l’obiettivo della costruzione di un portafoglio finanziario è gestire l’incertezza. Il “guadagno” è una conseguenza dell’andamento del mercato. Se si sapesse con ragionevole certezza quali titoli fanno guadagnare, perché perdere tempo a costruire un portafoglio? Basterebbe selezionare quei titoli. Costruiamo un portafoglio proprio perché non possiamo sapere prima i titoli che guadagneranno.
Gli obiettivi quindi si muovono sulle due principali polarità: 1) proteggere i risparmi e 2) cercare di accrescerli accettando anche di perdere dei soldi se le cose vanno male. Tra queste due polarità ci sono varie gradazioni che si traducono nella quantità di soldi che siamo disposti a perdere se le cose vanno male. Per aiutarci a definire questi obiettivi l’ideale è realizzare una pianificazione finanziaria personale. (Il discorso sulla pianificazione finanziaria ci spingerebbe troppo fuori dagli obiettivi di questo articolo, ma ci teniamo a sottolineare che sarebbe certamente il modo migliore per scegliere gli obiettivi d’investimento).
Poiché, purtroppo, la pianificazione finanziaria in Italia è semisconosciuta, il problema fondamentale di questa fase consiste nel fatto che i risparmiatori, in genere, per poter scegliere dovrebbero avere un’idea abbastanza chiara delle alternative.

E’ difficilissimo identificare gli obiettivi d’investimento, che si traducono, in ultima analisi, nella quantità di soldi che si è disposti ad perdere se le cose vanno male, quando non si hanno le idee chiare su quali sono i rendimenti attesi se le cose vanno bene. Inoltre, in genere, i risparmiatori non sono in grado di gestire mentalmente i concetti di probabilità. Come abbiamo più volte detto, costruire portafogli finanziari significa in ultima analisi scegliere ed applicare una strategia per gestire l’incertezza (1). E’ ovvio che se non si ha la più pallida idea di quali siano le opzioni disponibili diventa difficile poter fare una scelta consapevole.

Il terzo step per la costruzione di un portafoglio è quello di chiarirsi le idee sulla strategia di gestione che è maggiormente compatibile con le proprie caratteristiche. In questo passaggio, fra le caratteristiche dell’investitore vi sono anche le proprie credenze sul funzionamento dei mercati. Ciò che potremmo chiamare la propria filosofia d’investimento. Ancora una volta, per un investitore non esperto, si tratta in primo luogo di acquisire delle informazioni per poter scegliere.
Investire senza una precisa strategia d’investimento è come incamminarsi in un viaggio lungo e irto di ostacoli senza avere nessuna indicazione sul percorso: è praticamente impossibile arrivare a destinazione.
In quindici anni di esperienza professionale a contatto con investitori privati non ho mai visto un investitore che avesse una strategia d’investimento minimamente definita. Poi ci si domanda perché così tante persone intelligenti perdono soldi in finanza!
Avere una strategia d’investimento significa, in ultima analisi, stabilire un insieme di regole che ci dicono non solo quando e perché selezioniamo dei titoli nei quali investire ma anche – e soprattutto – quando e perché li venderemo.

E’ fondamentale che vi sia coerenza all’interno della strategia d’investimento. Ovvero non è sensato, (ed è pericoloso) usare delle logiche in fase di acquisto e logiche diverse in fase di vendita.
E’ importante comprendere che non esiste una strategia corretta a priori. Ogni strategia ha dei punti deboli e degli aspetti favorevoli. In ogni momento, nei mercati finanziari, c’è qualcuno che compra e qualcuno che vende. Ciò significa che ci sono idee diverse. Questo è necessario oltreché inevitabile. Se non vi fossero opinioni diverse non ci sarebbero scambi ed i mercati finanziari finirebbero.
Per questo, la strategia d’investimento è frutto di una serie di scelte fra opzioni diametralmente opposte. Facciamo qualche esempio per provare ad essere più concreti. Due polarità storiche in finanza prendono il nome di “value investing” e “momentum investing” (o trend following, anche se il “momentum” ed il “trend” sono due concetti un po’ diversi). Il primo approccio si può sintetizzare nella frase: “compra quando il titolo ed a buon prezzo e vendi quando è caro”. Il secondo approccio si può sintetizzare nella frase: “il trend è il tuo amico” (ovvero: compra quanto tutti comprano e vendi quando il trend non è più presente). Sono due approcci opposti, nessuno dei due è necessariamente migliore dell’altro, ma entrambi hanno lati positivi e lati negativi. Un’altra polarità tipica in finanza è quella fra gestione attiva e gestione passiva. Una scelta fondamentale (che in parte s’interseca con la scelta fra gestione attiva e passiva) riguarda le modalità di ribilanciamento. Un conto è costruire un portafoglio pensato con una logica di “buy&hold” ovvero di acquisto di titoli pensati per non essere movimentati per tutto l’arco temporale atteso dell’investimento, cosa completamente diversa è pensare a ribilanciamenti programma in base a frequenze temporali prefissate o legate ai prezzi dei titoli. Una terza polarità è fra approccio discrezionale ed approccio sistematico. L’approccio discrezionale è quello più utilizzato in finanza e prevede che ogni volta che vi è da fare una scelta d’investimento, si valutino le variabili più importanti da analizzare in quel dato momento e si siano fatte le scelte (si spera in modo più coerente possibile). L’approccio sistematico, invece, stabilisce fin dall’inizio le regole che rimarranno valide per tutta la durata dell’investimento e si applicheranno sia in fase di acquisto che in fase di vendita.

Ognuna di queste polarità implica vantaggi e svantaggi. La combinazione di queste scelte definisce una strategia d’investimento.

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