E’ in collocamento – da ieri – un’obbligazione della Cassa Depositi e Prestiti che, per alcuni profili, potrebbe essere interessante, a patto – come sempre – di essere ben consapevoli di cosa stiamo facendo e di quali alternative sono presenti.
Mi riferisco alle obbligazioni aventi codice ISIN IT0005374043 a tasso misto (per i primi 2 anni pari al 2,70%, successivamente pari all’Euribor 3 mesi più l’1,94%) con scadenza 28 Giugno 2026.
Entrando subito nel merito
Prima di sviscerare i dettagli tecnici, vorrei entrare subito nel merito della convenienza o meno della sottoscrizione di questa obbligazione.
Cassa Depositi e Prestiti è un emittente sostanzialmente equiparato allo Stato Italiano (che ne detiene l’80%).
In questi giorni, i Titoli di Stato italiani hanno rendimenti che, per i titoli governativi dell’area euro, sono eccezionalmente elevati, molto vicini a quelli della Grecia.
Questa obbligazione ha rendimenti in linea con quelli acquistabili sul mercato dai Titoli di Stato Italiani.
Considerando i tassi Euribor attuali, il rendimento atteso a scadenza è pari all 1,95% lordo (qualora fosse collocata alla pari, cioè nell’ipotesi più pessimista per il sottoscrittore).
Un Certificato di Credito del Tesoro scadente qualche mese prima (settembre 2025) ha un rendimento lordo, ai prezzi di oggi, pari all’1,87%.
Non stiamo quindi parlando di rendimenti particolarmente allettanti rispetto alle alternative già quotate sui mercati.
La struttura dei tassi misti potrebbe essere interessante in questa fase di mercato.
Rispetto a qualsiasi alternativa, fra i titoli governativi europei, è evidente che questi rendimenti siano comunque interessanti.
Tutto, quindi, lascerebbe pensare ad un investimento ragionevole per i profili di rischio bassi o per la parte prudente del portafoglio.
C’è un solo, grande, “ma” che un investitore deve conoscere molto bene prima di sottoscrivere questa obbligazione ed è legato a quello che potremo chiamare “rischio spread”.
Immaginiamo che fra qualche mese il Governo – in sede di finanziaria – accentui il livello dello scontro con la Commissione Europea intraprendendo qualche provvedimento che possa “spaventare” gli operatori finanziari lasciando ritenere che le probabilità di un’Italia fuori dall’area Euro aumentino significativamente, oppure sfocino in una riduzione di rating del paese Italia. In queste ipotesi è ragionevole attendersi una fase nella quale lo spread con il titolo di stato tedesco possa aumentare anche di 100 o 200 punti base o perfino raddoppiare dai livelli attuali (non distanti dai 300 punti).
Semplificando al massimo i calcoli, per ogni aumento di 100 punti di spread il prezzo dell’obbligazione diminuirà di un 1% per ogni anno di scadenza residua.
Negli scenari molto negativi sopra indicati, quindi, non dovremmo stupirci di trovare questa obbligazione, acquistata in sottoscrizione alla pari, con una diminuzione del prezzo del 5, 10 o (in casi drammatici) 15 per cento.
In casi di questo tipo, l’investitore non subirebbe nessuna perdita se non dovesse vendere il titolo anticipatamente. L’ipotesi di un mancato rimborso, anche parziale, sui titoli di stato italiani, a nostro avviso, è ancora così bassa da essere considerata trascurabile.
Mentre vedere una diminuzione del prezzo nella parte del portafoglio che, per sua natura, dovrebbe essere “sicura” potrebbe non essere accettabile per alcuni investitori. In ogni caso è un’eventualità della quale ogni investitore dovrebbe essere informato, perché un consistente aumento dello spread nei prossimi mesi è tutt’altro che un’ipotesi remota.
Chi e perché potrebbe sottoscrivere
Avendo molto chiaro il “rischio spread” di cui abbiamo scritto sopra, coloro che hanno molta liquidità in portafoglio e percentuali trascurabili di titoli di stato italiani in portafoglio potrebbero valutare l’acquisto di piccole quote di questa obbligazione.
L’ipotesi che in futuro il prezzo possa diminuire è uno degli scenari possibili, ma non il solo.
Qualora le tensioni sull’Italia dovessero attenuarsi, non solo il prezzo dell’obbligazione si apprezzerebbe, ma la struttura dei tassi potrebbe essere particolarmente interessante da detenere in portafoglio.
L’equiparazione della CDP con i Titoli di Stato porta con se i vantaggi della tassazione agevolata al 12,5% (e del trattamento favorevole in caso di successione).
Il fatto di acquistarla in sottoscrizione elimina anche i costi di negoziazione che, visti i tassi attuali, costituiscono un fattore rilevante nella riduzione del rendimento del titolo.
Alcune dettagli tecnici ed informazioni rilevanti
Di seguito i dettagli tecnici dell’obbligazione
Durata: 7 anni
ISIN: IT0005374043
Data di emissione: 28 Giugno 2019
Data di scadenza: 28 Giugno 2026
Lotto minimo/massimo: 1000 euro / 1.000.000 euro
Mercato di quotazione: MOT di Borsa Italiana
Emissione: da 200.000 a 1.000.000 (aumentabile fino a 1,5 miliardi)
Frequenza cedole: trimestrale (8 marzo, 28 giugno, 28 settembre e 28 dicembre)
Prezzo di emissione: al massimo al valore nominale (1.000 euro ogni lotto)
Rimborso: 100% del valore nominale
Tasso fisso primi 2 anni: 2,7% annuo (ovviamente lordo)
Tasso variabile successivi 5 anni: Euribor 3 mesi +1,94% annuo (ovviamente lordo)
Rating all’emissione: “BBB”
Periodo di sottoscrizione: Dal 10 al 21 giugno salva chiusura anticipata
Comunicazione prezzo emissione: Entro 5 giorni dalla chiusura
Il collocamento avviene praticamente attraverso tutto il sistema bancario italiano compresi i colossi Unicredit e Banca Intesa, passando per Poste Italiane e tutte le principali banche. E’ decisamente improbabile che qualcuno desideri sottoscrivere l’obbligazione e non trovi l’intermediario incaricato.
In conclusione
L’obbligazione non ci entusiasma, ma in questo periodo (ormai da molti anni) fra i bond governativi, cioè per quella che in passato era la parte più consistente del portafoglio, non esistono titoli anche solo appena interessanti.
Si tratta di scegliere il “male minore” e spesso il male minore è non scegliere affatto.
L’ipotesi di sottoscrivere queste obbligazione e ritrovarsela a prezzi migliori fra qualche mese non è trascurabile, ma non si possono trascurare anche gli scenari diversi. Se un investitore ha pochissima Italia in portafoglio, potrebbe valutare di iniziare con piccole porzioni, valutando di incrementare qualora lo spread dovesse aumentare significativamente, fino ad arrivare a quella quota compatibile con il proprio profilo.
In sintesi: non buttarsi a capofitto allettati dal 2,7% iniziale, ma neppure da ignorare tout-court.