“Leon, sei il più grande
persuasore che ho mai conosciuto,
ma non mi convincerai mai
che il governo può spendere
un dollaro che non ha.
Sono un ragazzo di campagna”- Hanry S. Truman –
33esimo presidente degli USA
persuasore che ho mai conosciuto,
ma non mi convincerai mai
che il governo può spendere
un dollaro che non ha.
Sono un ragazzo di campagna”- Hanry S. Truman –
33esimo presidente degli USA
Una lettura davvero interessante è il bel libro di Nicholas Wapshott sulle vite parallele dei due più influenti economisti dell’ultimo secolo: Keynes e Hayek. Conoscere, almeno superficialmente, il pensiero di questi due grandi economisti ci aiuta molto a comprendere la politica economica e monetaria del nostro tempo e gli errori che sono stati fatti (e che si continuano a fare).
Il libro è piacevole perché non è un noioso trattato di economia bensì la storia incrociata dei due personaggi e dello sviluppo del loro pensiero che ha definito, come dice il titolo, l’economia moderna.
La radicale differenza di pensiero fra Hayek e Keynes sono figlie dell’esperienza di vita dei due personaggi oltreché dei differenti caratteri. Hayek ha vissuto sulla propria pelle le tragiche conseguenze dell’iperinflazione che ha ridotto la sua famiglia benestante in povertà ed ha visto con i propri occhi le tragiche conseguenze per una nazione dell’iperinflazione. Combattere l’inflazione era la sua ossessione (come tutt’ora per una buona parte degli economisti tedeschi che controllano la Bundesbank). Keynes, invece, era ossessionato dalla disoccupazione.
Hayek era un teorico a suo agio fra le quattro mura di una biblioteca o al massimo nell’aula dell’università. Keynes era un uomo pragmatico che metteva in pratica il suo pensiero sia influenzando (o tentando di influenzare) il corso della politica sia operando direttamente nei mercati finanziari (con grandissimo successo).
Hayek che per tutta la vita ha lottato per ridurre il peso dello stato nell’economia è vissuto sempre e solo di soldi pubblici e si è ritrovato, vicino alla pensione, in ristrettezze economiche. Keynes, al contrario, che contestava il modello puramente capitalistico, era un abile speculatore nei mercati finanziari e smodatamente ricco.
Il principale nodo del contendere fra i due grandi economisti era il seguente.
La scuola economica classica (della quale Hayek, sebbene fosse il più giovane fra i due, era esponente) asseriva che i mercati – se lasciati operare senza interferenze – fossero in grado di autoregolarsi. I cicli economici, secondo questa scuola di pensiero, sono sostanzialmente inevitabili.
Keynes contestò radicalmente le basi stesse dell’economia tradizionale e disse che lo stato poteva e doveva operare per correggere i mercati i quali, da soli, non erano affatto in grado di portare alla piena occupazione.
Tra gli anni nei quali Keynes elaborò la sua “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” ed oggi c’è stato un cambiamento importante del quale – a livello di comune sentire – non riusciamo ancora a prendere atto né, quindi, a trarne le conseguenze.
All’epoca di Keynes (e del primo Hayek) la moneta era ancora, in parte, ancorata all’oro. Era ancora, in qualche modo, una derivazione della moneta-merce. L’idea che la moneta potesse essere completamente scollegata da una promessa di pagamento, in merci o in qualche forma di credito (così detta moneta-segno, o moneta numeraria), era ritenuta insensata. Il grande economista Mises, mentore di Hayek, scrisse nel 1912 che la moneta-segno è qualcosa di logicamente possibile, ma non è mai esistita (o non era mai resistita a lungo).
In realtà, anche formalmente, da oltre 40 anni tutte le economie del mondo sono basate su una moneta che non rappresenta più niente e che è accettata solo in forza della legge (c.d. corso forzoso).
Abbiamo quindi questa relativa novità (della quale la maggior parte delle persone non si rendono pienamente conto). Il denaro non è nient’altro che una convenzione sociale (come ha scritto recentemente il famoso economista Keynesiano Krugman). La maggioranza delle persone non riescono a comprendere, come non comprendeva il 33esimo presidente degli Stati Uniti d’America, Henry Truman, che il denaro a livello personale è qualcosa di molto diverso dal denaro a livello aggregato.
A livello personale non si può spendere un euro che non si possiede. A livello nazionale, invece, il denaro potrebbe non essere altro che un mezzo di scambio la cui quantità dovrebbe, entro certi limiti, adattarsi alle necessità degli scambi della nazione. Ho usato il condizionale perché sebbene da oltre 40 anni siamo – anche formalmente – inseriti in un sistema economico nel quale la moneta è esclusivamente una moneta-segno, non è vero che la moneta sia esclusivamente un mezzo di scambio. La moneta, infatti, svolge anche la funzione di riserva di valore ed è proprio questo che ha costituito il limite delle politiche Keynesiane.
Keynes aveva intuito che questo costituisce un problema per una corretta gestione dell’economia, avevan infatti introdotto il concetto di preferenza per la liquidità che, secondo lui, faceva sballare le teorie economiche classiche che valorizzavano l’importanza del risparmio per l’economia. Aveva anche molta stima per l’economista eretico Silvio Gesell (infatti nella sua Teoria Generale dedico un’ampia nota alle sue tesi sostenendo che i posteri avrebbero tratto molto vantaggio dalle tesi allora – anche oggi – considerate stravaganti). Però non ha mai tratto fino in fondo le conseguenze del problema della moneta come riserva di valore.
Poiché oggi, diversamente che ai tempi di Keynes, la moneta è interamente moneta-segno, non convertibile in niente, il cui valore è interamente affidato al corso forzoso che impone la legge, cos’è che fa svolgere alla moneta-segno anche la funzione di riserva di valore?
Il fatto che conservare la moneta non solo non costa nulla ma può produrre perfino ulteriore moneta attraverso l’interesse. E qui veniamo al nodo di tutto il ragionamento che potrebbe unire le lezioni che abbiamo appreso da Hayek con quelle che abbiamo appreso da Keynes.
Hayek (e la scuola economica austriaca) ci ha insegnato che la liberà in economia è fondamentale. I prezzi devono essere stabiliti dal mercato perché la libera contrattazione garantisce la migliore possibilità di usufruire delle conoscenze diffuse nella società. La pianificazione economica non ha possibilità di essere realmente efficace. Keynes c’ha insegnato che l’economia si può utilmente guardare anche a livello aggregato (prima di Keynes non esisteva il concetto di macroconomia) e vedendo le cose “dall’alto” si possono scoprire concetti contro-intuitivi che ci spiegano perché un sistema capitalistico, lasciato a se stesso, non può autoregolarsi.
Se analizziamo il problema della moneta e della finanza attuale – che può essere riassunto nel concetto d’interesse – scopriamo che è possibile un’economia assolutamente libera, ma non basata sul capitalismo. La principale lezione di Hayek e la principale lezione di Keynes possono stare insieme.
Il Keynesismo inizio a declinare sotto il peso della stagflazione negli anni 70. Dopo tre decenni di prosperità senza pari, il peso del deficit spending (con il notevole contributo dell’OPEC e del prezzo del petrolio) iniziava a far sentire i suoi effetti.
Ma cos’è, in realtà, che pesava del debito pubblico? Pesavano (e pesano tutt’oggi) gli interessi.
Ma perché dobbiamo pagare gli interessi sul debito pubblico ed in generale sui prestiti monetari?
Non è una legge della natura, è una regola che abbiamo costruito.
I debiti pubblici delle principali nazioni oggi sono assolutamente spaventosi ed è assolutamente inconcepibile che vengano interamente ripagati. Possono essere rinnovati per ancora molto o moltissimo tempo, ma nelle condizioni attuali, non è ipotizzabile ridurre significativamente (cioè più che dimezzare) i debiti pubblici mondiali neppure nell’arco di diversi decenni.
E’ indispensabile (e certamente avverrà, magari fra moltissimo tempo, ma prima o poi inevitabilmente accadrà) che si modifichi la logica con la quale si concepisce ed utilizza la moneta e quindi il debito pubblico.
Non c’è nessuna buona ragione affinché la moneta sia uno strumento per conservare il valore.
La moneta non può svolgere agevolmente due compiti opposti: quello di favorire gli scambi e quello di conservare il valore. Una delle cause dei cicli economici risiede proprio in questa schizofrenia. Ci sono fasi nelle quali le persone utilizzano prevalentemente la moneta per gli scambi (fasi espansive) e fasi nelle quali le persone tendono ad accumulare il denaro e non farlo girare (fasi recessive). Il problema si può eliminare alla radice impedendo alla moneta di svolgere il ruolo di riserva di valore. Se abbiamo una moneta-strumento-di-scambio, invece che una moneta riserva di valore, la politica monetaria diventa molto più semplice, quasi meccanica ed i clicli economici potrebbero essere molto più lievi se non sparire del tutto.
Il valore sta nelle cose, non in una invenzione sociale astratta come il denaro. L’accumulo di ricchezza si deve realizzare attraverso i beni (merci, aziende, immobili, terreni, ecc.).
I beni, diversamente dalla moneta, hanno un costo di mantenimento.
Per quale ragione si deve privilegiare chi sceglie di accumulare moneta (creando così le premesse per generare squilibri macroeconomici) rispetto a chi sceglie di accumulare beni, specialmente se produttivi? Dobbiamo fare esattamente il contrario, o almeno cercare di ridurre lo squilibrio a vantaggio di chi accumula denaro e non beni produttivi.
I debiti pubblici accumulati sono in massima parte derivanti dagli interessi. Se non vi fossero gli interessi praticamente non esisterebbero i debiti pubblici. Le nazioni, in realtà, negli ultimi 60/70 anni, mediamente, hanno restituito molti più soldi di quanti ne abbiano chiesto in prestito. Però i debiti sono ancora elevatissimi perché tutti i soldi spesi hanno restituito in sostanza solo gli interessi ed il capitale è stato sempre rinnovato. E’ pensiero comune che il debito pubblico derivi dagli sprechi della politica. E’ verissimo che la politica spreca e che il pubblico è largamente inefficiente, ma la verità è che il debito pubblico è creato principalmente dal tasso d’interesse il quale costituisce un meccanismo profondamente iniquo di redistribuzione del reddito da chi a meno a chi ha di più.
Se un giorno riuscissimo a far passare il concetto che accumulare ricchezza in denaro deve avere un costo (così come accumulare ricchezza in altri beni ha un costo) potremmo finalmente vivere in un’economia libera e di mercato, ma non capitalista. Non avremmo le odiose tasse sul reddito che penalizzano il lavoro e avremmo finalmente eliminato quella innaturale preferenza per la liquidità che anche Keynes aveva identificata e che è artificialmente creata dalle regole che noi abbiamo creato per il funzionamento della moneta. Non avremmo, ovviamente, risolto tutti i problemi dell’economia. Non esiste un’unico provvedimento che risolve tutto, ma avremmo fatto un significativo passo avanti.