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China Bond: opportunità per la parte obbligazionaria dei portafogli?

Tempo di lettura: 4 minuti

Da troppo tempo, ormai, la parte più problematica dei portafogli finanziari è quella relativa alla componente obbligazionaria governativa denominata in Euro perché questa parte del portafoglio, che un tempo garantiva stabilità, oggi presenta molti più rischi che opportunità.

Da anni, ormai, i portafogli medi degli investitori stanno incrementando i rischi poiché la componente tradizionalmente considerata priva di rischio ha rendimenti negativi e quindi rappresentano, di fatto, un costo (ancor di più considerando la componente fiscale). 

L’incremento dei rischi del portafoglio non è necessariamente un male, se fatto in modo molto consapevole. Facendo la professione di consulente finanziario indipendente da oltre venti anni, però, so molto bene che nella quasi totalità dei casi questo non avviene. Acquisire consapevolezza sui rischi finanziari è un processo che richiede tanto tempo. I dipendenti bancari ed i consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, che devono seguire centinaia di clienti per vivere, molto semplicemente non hanno tempo a disposizione.

Il risultato è che quando questo incremento di rischio dei portafogli si tradurrà in fortissima volatilità, molti investitori non saranno preparati a reagire e usciranno nel momento peggiore, come in tanti hanno fatto a Marzo di quest’anno.

Questa premessa è necessaria poiché il fatto che in questo articolo si presenti una classe di investimento poco utilizzata dagli italiani in questo momento, non deve essere presa come una raccomandazione rivolta ad un pubblico indistinto. Ciascuno investitore deve valutare con molta attenzione sia se lo strumento è adatto al proprio profilo, sia –  nel caso – in che proporzione e con quale strategia inserirlo in portafoglio.

Riteniamo, però, che sia utile che un investitore sia informato circa questa categoria di investimento che rappresenta forse una delle pochissime nel campo delle obbligazioni governative affidabili ad avere ancora tassi ragionevoli. 

La Cina, un’opportunità da cogliere con molta consapevolezza

Prima del 2016, affinché un intermediario finanziario potesse operare nel mercato cinese era necessario che disponesse di autorizzazione concesse per “quote”, cioè per determinati importi di negoziazione. 

A partire dal 2016 si è avviato un processo di apertura, in piccola parte ancora in corso, che si può dire quasi completato. 

Il mercato dei titoli di stato cinesi (Chinese Interbank Bond Market) in termini di quantità di bond scambiati è molto rilevante. Per avere un’idea delle dimensioni, stiamo parlando di 1,57 trilioni (uso il termine nell’uso anglosassone e francese, cioè dieci alla dodicesima) di dollari. Il mercato delle obbligazioni tedesche è pari a 1,41 trilioni, quello inglese 1,26 trilioni (quello italiano viaggia sui 2,4 trilioni di dollari). 

Dal punto di vista della liquidità del mercato, quindi, non c’è alcun problema. 

Dal punto di vista del classico “rating”, per quello che possa valere, la Cina ha un rating superiore all’Italia, cioè A+.

Il rapporto del debito pubblico sul PIL è intorno al 50%, ma il dato non è rappresentativo della situazione debitoria, perché molti investimenti in infrastrutture sono stati finanziati da autorità locali o “scatole” comunque riconducibili al governo.

Il debito complessivo della nazione (pubblico e privato) si aggira intorno al 300% del Prodotto Interno Lordo, simile a quello di molte nazioni pienamente sviluppate e considerate affidabili.

Come sappiamo, ad oggi, la Cina ha una fortissima bilancia commerciale (essendo di fatto la “fabbrica del mondo”). In futuro questa situazione potrebbe attenuarsi a causa delle tensioni commerciali e delle tendenze post pandemia che sembrano aver incentivato la produzione locale, ma tutto lascia pensare che la bilancia commerciale resterà molto forte anche negli anni futuri.

Il debito pubblico cinese è denominato in Renminbi. Questo è un punto fondamentale che un investitore deve comprendere. Nel momento in cui vorrà utilizzare i soldi investiti in queste obbligazioni, oltre alla normale oscillazione delle obbligazioni, dovuta alla variazione dei tassi d’interesse, dovrà considerare l’oscillazione della moneta cinese in rapporto all’euro (1).

Il rischio che la Cina torni ad una politica di controllo dei flussi finanziari sembra molto basso (2). 

Mentre molto più probabili sono rischi di una manipolazione dei tassi di cambio. Sappiamo che l’amministrazione di Trump ha più volte accusato la Cina di tenere la sua valuta artificiosamente bassa. E’ possibile che la Cina manipoli il cambio e in condizioni estreme potrebbe svalutare. Al momento ci sembra un’ipotesi altamente improbabile, ma un investitore che sceglie questa categoria di investimento dovrebbe essere consapevole che, per quanto bassa, questa è un’ipotesi in campo. D’altra parte, nel lungo termine, potrebbe anche presentarsi lo scenario opposto, di un apprezzamento della valuta cinese.

Ricordiamoci che se è vero che gli USA producono circa la metà del Prodotto Interno Lordo mondiale, la Cina né produce circa il 15% (l’intera zona Euro il 20%). 

Detenere, stabilmente, una quota di valuta cinese in portafoglio sembra una scelta ormai più che ragionevole, a condizione che si sia pienamente consapevoli dell’aumento delle oscillazioni che questo implica. 

Attualmente, le obbligazioni governative cinesi con una durata media finanziaria intorno ai 6 anni, generano un rendimento medio di circa il 3% lordo. L’oscillazione media annua dell’indice in valuta locale è circa il 4%, ma considerando anche l’oscillazione legata al cambio si deve mettere in conto anche l’ipotesi che in un anno particolarmente sfavorevole l’investimento possa oscillare negativamente per percentuali vicine al 10% (è vero, ovviamente, anche il rovescio della medaglia, ma questo non preoccuperebbe). 

Conclusioni

Considerato il peso che la Cina ha ormai raggiunto sia sul prodotto interno lordo mondiale, sia – molto recentemente – sui mercati finanziari internazionali, non prendere in considerazione la classe d’investimento delle obbligazioni governative cinesi ci sembra un errore strategico grossolano.

Da qualche mese è stato quotato sul mercato italiano un ETF che investe in un paniere di obbligazioni governative cinesi. La percentuale da tenere in portafoglio (che potrebbe essere anche zero per chi non ha alcuna tolleranza alle oscillazioni) varia molto in base alla propria propensione al rischio, agli obiettivi ed alla strategia che si è impostato (per i pochi investitori “adulti” che hanno compreso quanto sia indispensabile dotarsi di una strategia d’investimento). Se, fino a poco tempo fa, l’idea di investire in obbligazioni Cinesi poteva scontrarsi o contro i costi assurdi di alcuni fondi comuni a gestione attiva, o contro la difficoltà materiale ad operare, oggi questo limite è scomparso. Si tratta quindi di dedicare tempo a comprendere bene le caratteristiche di questa classe di investimenti dal momento che molto probabilmente resterà nei portafogli degli investitori per moltissimi anni avvenire.  

 

(1) In realtà di mezzo c’è comunque il dollaro statunitense, ma di fatto l’esposizione dell’investitore europeo è nei confronti del cambio EUR/CNY.

(2) Ricordiamo che recentemente la Cina, nel tentativo di internazionalizzare la sua valuta, ha incoraggiato gli investitori istituzionali, ed anche governativi, ad emettere obbligazioni in Renminbi sul mercato interno cinese. L’Italia ha recentemente aderito con un’obbligazione da 150 milioni emessa dalla cassa depositi e prestiti. L’intreccio finanziario fra la Cina ed il resto del mondo sta diventando così articolato e complesso che pensare ad un sostanziale passo indietro appare fortemente improbabile.

 

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