Agli inizi della mia formazione professionale come consulente finanziario indipendente, alla fine del secolo scorso, il pensiero accademico era dominato dall’ipotesi dei mercati efficienti. I “mostri sacri” della finanza come H. Markowitz, W. Sharpe ed E. Fama, supportavano l’idea che la selezione dei singoli titoli fosse un’attività sostanzialmente priva di valore aggiunto, poiché aumenta i rischi al portafoglio senza aumentare il rendimento atteso rispetto ad un indice adeguato.
C’è molto di vero in questa idea, specialmente con gli strumenti a disposizione diversi decenni fa. Tutti gli obiettivi di vita collegati ad esigenze finanziarie, possono essere più agevolmente raggiunti investendo in panieri di titoli e accantonando l’idea di fare quello che in gergo tecnico si chiama “stock picking”, cioè la scelta di singoli titoli.
L’investimento in azioni attraverso indici implica il normale rischio legato alle oscillazioni dei mercati azionari (detto: rischio sistematico). Tali oscillazioni sono collegate ai fattori macroeconomici, cioè alle aspettative sull’andamento dell’intera economia.
Investendo in singole azioni, oltre al rischio legato al mercato azionario in generale ci si espone a quello che viene definito “rischio specifico”: ovvero tutti i fatti che possono colpire quella specifica azienda, dai fatti delicati come i falsi in bilancio (esempio famoso: la Enron) alle scelte sbagliate dei manager, superamento tecnologico, perdita dei mercati di riferimento, ecc.
Fino a quando continueranno ad esistere le istituzioni finanziarie, investendo in indici azionari è impossibile perdere il capitale investito a patto di restare investiti per il tempo necessario. Ci potrà essere un periodo di tempo – anche relativamente lungo – nel quale il valore dell’investimento è inferiore al capitale impiegato, ma attendendo il tempo sufficiente si avranno sempre i propri soldi più il premio (rendimento) per il rischio sistematico sostenuto. Investendo in singole azioni, astrattamente, è possibile perdere tutto. Investendo in un numero relativamente ampio di singole azioni (diciamo da una una quindicina in su), l’ipotesi di perdere tutto è fortemente improbabile, ma l’ipotesi di fare molto peggio della media del mercato è forse lo scenario più probabile, specialmente senza investire tempo e competenze.
Una parte importante della mia carriera professionale è fondata anche su questo principio.
Circa vent’anni fa, al Master in Pianificazione Finanziaria che frequentai all’Università di Siena, chiesi al compianto prof. Franco Caparrelli, allora ordinario della cattedra di “Tecnica di Borsa” (scomparso prematuramente e talmente amato che alla sua morte fu intitolata l’Aula Magna di Economia) di poter fare la tesina sugli allora nascenti ETF, cioè dei fondi comuni indicizzati negoziati in borsa. Mi ricordo come fosse ieri che il professore mi disse: “Pedone, se proprio vuole fare una tesi su questi ETF faccia pure, ma sappia che in Italia non avranno mai futuro perché per quanto siano ottimi strumenti, le banche non permetteranno mai che si diffondano.” Il primo ETF debuttò in Italia il 30 settembre 2002 e per quanto il prof. Caparrelli avesse perfettamente ragione e le banche hanno fatto di tutto (ed in parte ancora lo fanno) per ostacolare l’adozione degli ETF, la tecnologia è così vincente e favorevole per gli investitori che oggi si sono fatti largo, in particolare fra gli investitori più evoluti oltreché, paradossalmente, fra gli istituzionali.
Indici: non solo vantaggi
Ho reputato necessaria questa premessa per chiarire che io sono un forte sostenitore dei vantaggi della gestione indicizzata, ma – come tutte le cose – ha pregi e difetti.
Fra gestione indicizzata (detta anche passiva) e gestione attiva c’è stata – ed in parte sussiste ancora – una specie di “guerra di religione”. Questo è accaduto perché nella maggioranza dei casi, i gestori svolgono una finta gestione attiva, facendola pagare come vera. Se gli indici hanno qualche problema, la gestione attiva – così come viene concretamente praticata – ha enormi problemi.
In astratto, però, gestione attiva e passiva sono due componenti sinergiche dei mercati finanziari in un continuo equilibrio dinamico.
Non sarebbe pensabile ipotizzare dei mercati finanziari nei quali esista esclusivamente la gestione passiva perché ciò significherebbe che qualsiasi titolo venga listato verrebbe acquistato solo perché esiste. E’ chiaro che questo sarebbe paradossale, ma non avverrà mai poiché ci saranno sempre degli investitori che si potranno avvantaggiare delle inefficienze che indubbiamente si annidano anche nella gestione indicizzata.
Acquistare panieri di titoli significa essenzialmente rinunciare a scegliere, accettare che nel paniere ci sia anche qualche “uovo marcio” che verrà abbondantemente compensato da altre uova che avranno risultati straordinari e che non saremmo stati in grado di selezionare se ci fossimo messi in testa di fare noi una cernita ristretta.
In passato ho scritto un articolo un po’ più dettagliato sui “pregi e difetti” degli indici.
In questa sede desidero solo ribadire che – per quanto la gestione indicizzata, tipicamente realizzata attraverso gli ETF – sia un grandissimo passo avanti per gli investitori, naturalmente non è esente da difetti.
Direct Indexing
Sebbene possa apparire banale, replicare con grande precisione il rendimento di un indice finanziario composto da decine, spesso centinaia e talvolta migliaia di titoli è un’attività complessa che solo abbastanza recentemente siamo in grado di fare a costi trascurabili grazie all’avvento della tecnologia informatica.
Come sappiamo tutti, la caratteristica strabiliante dell’informatica è che fa passi avanti esponenziali. Quello che appariva straordinario solo pochi anni fa, oggi appare superato e vecchio.
Se alla fine degli anni ‘90 l’informatica di allora ha reso possibile l’avvento degli ETF, oggi la tecnologia che sta alla base delle negoziazione dei titoli nei mercati finanziari è così evoluta che di fatto è possibile consentire al singolo investitore di costruirsi in casa il “proprio ETF”, attraverso quello che viene chiamato direct indexing.
Detto in modo molto sbrigativo, per direct indexing intendiamo il fatto che un singolo investitore, invece di comprare un ETF si mette nel proprio conto direttamente tutte le azioni nelle stesse proporzioni che sono nell’indice. Con la differenza che può costruirselo ritagliandolo in base alle proprie preferenze.
Questo implica un notevole complessità che però viene gestita tutta dai software. Ovviamente questo servizio avrà dei costi che – specialmente all’inizio – non saranno trascurabili: immaginiamo comparabili ed inizialmente superiori a quelli degli ETF.
Perché una persona dovrebbe volere la titolarità delle singole azioni in luogo dell’acquisto degli ETF? Per due ragioni.
Vantaggi fiscali. Al momento in Italia i fondi comuni sono fiscalmente svantaggiati perché – diversamente da quanto accade per l’investimento in singole azioni – le plusvalenze che si realizzano sui fondi comuni (compresi gli ETF) non si compensano con le minusvalenze. Sappiamo che è allo studio una proposta per risolvere questo che è un problema normativo, ma anche qualora venisse risolto, il detenere direttamente centinaia di azioni consente un’ottimizzazione fiscale straordinaria perché periodicamente è possibile vendere i titoli in perdita per generare le minusvalenze e poi vendere i titoli in guadagno per compensare le plusvalenze. Con il ricavato delle vendite si ricomprano tutti i titoli ma a prezzi di carico medi più alti, senza aver pagato tasse. Ovviamente questo è possibile solo a patto di avere commissioni di negoziazione prossime allo zero e tecnologie informatiche che automatizzano il processo (che è molto più complesso di come l’ho semplificato).
Personalizzazione. Avere un paniere estremamente diversificato di titoli, pur conservando la possibilità di escludere alcune specifiche aziende, apre la strada ad una serie di possibili personalizzazioni molto interessanti. Alcuni investitori seriamente interessati agli aspetti della sostenibilità ambientale, sociale e di governance – ad esempio – potranno fare un’analisi veramente approfondita di questo tipo di selezione. Altri investitori vorranno escludere delle aziende che hanno progetti aziendali nei quali non credono per ragioni individuali. Le ragioni che possono portare a voler fare una particolare selezione all’interno degli indici sono infinite, come i gusti alimentari. Man a mano che questa possibilità sarà sempre più diffusa verificheremo quanto e come l’aspetto della personalizzazione si svilupperà. Sono convinto che questa flessibilità verrà utilizzata anche in molti modi impropri, ma al tempo stesso consentirà di creare portafogli d’investimento molto più ritagliati sulle esigenze del singolo investitore.
Scelta al quadrato
Mentre scrivo, il direct indexing in Italia non è ancora accessibile agli investitori privati, ma già nel 2022 inizieremo a vedere i primi prodotti che, come per tutte le novità, molto probabilmente non saranno il massimo rispetto a ciò che vedremo solo qualche anno dopo, esattamente come accadde ai primi ETF (i quali avevano commissioni più alte e tecniche di replica meno efficienti rispetto a quelli odierni). Non c’è alcun dubbio, però, che il potenziale di questo strumento è molto grande.
Una volta chiariti e risolti alcuni aspetti strettamente tecnici legati alle garanzie per le frazioni di azioni, questo strumento potrà ribaltare il paradigma della gestione attiva.
Oggi, prima dell’avvento del direct indexing, fare gestione attiva (quando si fa veramente) significa essenzialmente una cosa: scegliere i titoli che si ritiene abbiano le migliori prospettive di crescita sulla base di svariate tecniche e/o ipotesi.
Si può sintetizzare al massimo nel seguente concetto: scelgo pochi in mezzo a tutto.
Con l’avvento del direct indexing si realizzerà una diversa forma di gestione attiva, concettualmente opposta: scelgo cosa non scegliere.
Sembra un gioco di parole, ma è un modo di concepire la costruzione dei portafogli finanziari profondamente diversa. Si passa dal “scelgo pochi in mezzo a tutto” allo “scelgo tutto eccetto pochi”.
E’ una rivoluzione concettuale. Si tratta di sviluppare abilità diverse, strumenti diversi, partire da una filosofia del funzionamento dei mercati finanziari diversa. E’ chiaro che i due approcci alla costruzione dei portafogli conviveranno insieme, così come la gestione passiva tradizionale convive con la gestione attiva tradizionale, ma il direct indexing porterà una concezione radicalmente diversa di pensare alla costruzione dei portafogli per il risparmiatore individuale che aprirà un mercato completamente nuovo.
I consulenti finanziari indipendenti sono le figure professionali che maggiormente potranno essere protagonisti di questa che ha tutte le carte in regola per essere ricordata, fra dieci anni, come una innovazione superiore a quella degli ETF